Ousmane e Louis, nel pozzo nero dei Cpr - di Valentina Furlanetto

Reportage



Ousmane Sylla, 22 anni, si è suicidato un mese fa nel Cpr di Roma. La tragedia ha riportato l'attenzione per qualche ora sulle condizioni di chi è trattenuto nei Centri di permanenza per i rimpatri. "Li dentro - dice Louis, da 10 anni in Italia, appena uscito dal Cpr di Via Corelli a Milano - la situazione è fuori controllo, non pensavo ci fossero italiani così cattivi, i diritti della persona valgono più in carcere. Se uno sta male deve urlare e sbattere le porte sennò non ti ascoltano. Ci sono persone che pur di uscire si spaccano le braccia. Poi ti danno gli psicofarmaci per tenerti tranquillo. A me hanno dato Clorazepan". Louis lavora nel catering della moda di Milano. "Ho lavorato in tutti gli showroom di Milano centro, ovviamente in nero. Poi il 5 di gennaio mentre andavo al lavoro mi hanno fermato, non ho il permesso di soggiorno e quindi sono stato portato nel Cpr". "Le persone che stanno nei Cpr non hanno commesso reati, sennò sarebbero in carcere. La loro colpa è non avere i documenti. Magari perché scaduti" spiega Teresa, attivista della rete No-Cpr. "In queste strutture - spiega il medico infettivologo Nicola Cocco - non dovrebbero entrare persone malate. Invece questa cosa viene completamente disattesa, infatti all'interno io ho trovato persone anche con patologie croniche come il diabete o l'epilessia, per non parlare di scabbia e infezioni virali. C'è poi il tema della salute mentale. Alcuni vengono trattenuti nonostante soffrano di patologie psichiatriche, altri le sviluppano proprio all'interno del Cpr. E poi c'è l'abuso degli psicofarmaci che vengono utilizzati come manganelli farmacologici e camice di forza farmacologiche. E questo è molto grave".